About the author:
un articolo su Henry Ford scritto da Giovanni Marocco, già Ambasciatore, ora storico, saggista, opinionista, nonché cugino di Roberto Faldella
Abstract:
inventò la linea di montaggio, ridusse l’orario di lavoro a 8 ore per 5 giorni, raddoppiò lo stipendio ai suoi dipendenti, in modo che in pochi mesi fossero in grado di comprarsi le auto che producevano. Ciò un secolo fa.
Dubbioso sul libero mercato, preoccupato per l’aggressività della finanza.
Era molto molto di più del Presidente della Ford Motor Company e del “creatore dell’automobile utilitaria”, come titolava il “Corriere della Sera” dell’8 aprile 1947: Henry Ford, deceduto a Detroit, a 83 anni, aveva messo il mondo su quattro ruote.
Convenzionalmente l’automobile venne inventata nel 1886, allorché il tedesco Karl Benz, già pioniere del motore a combustione interna a due tempi, costruì il primo veicolo con motore endotermico. Nello stesso anno il connazionale Gottlieb Daimler realizzò un modello indipendente da quelli di Benz. Successivamente, nel 1889, il motore a quattro tempi di Daimler veniva installato su di una vettura a quattro posti da René Panhard ed Émile Levassor. Era un motore a “Ciclo Otto” un ciclo termodinamico impiegato nei motori alternativi a combustione interna ed in particolare nei motori a benzina, i quali sono alimentati da un impianto d’alimentazione ed evacuano i gas di scarico. Questo ciclo rimane ancora oggi il principio di funzionamento dei motori a benzina. Il nome del “Ciclo Otto” deriva dal nome dell’ingegnere tedesco Nikolaus Otto che depositò il brevetto del primo motore a quattro tempi nel 1876. Anche se agli inizi il motore a benzina dovette ingaggiare, per imporsi, una battaglia contro i motori elettrici, diesel ed a vapore.
Un’epoca di straordinaria creatività, sulle due sponde dell’Atlantico. Negli Stati Uniti l’avvio dell’industria automobilistica fu quasi contemporaneo a quello europeo. Sorsero centinaia di fabbriche, soprattutto nella regione manifatturiera dei Grandi Laghi, destinate a fondersi o a fallire, soprattutto come conseguenza della “Grande Depressione” degli Anni ’30, quando si staglierà netta la supremazia di tre grandi Companies, “The Big Three”, tutte concentrate a Detroit e con vari marchi, in modo da coprire le varie fasce di mercato: General Motors, Ford e Chrysler.
La “Ford Motor Company” venne fondata a Dearborn, Michigan, il 16 giugno 1903 con 28.000 dollari provenienti da dodici investitori, tra i quali il quarantenne Henry Ford ed i fratelli John Francis e Horace Elgin Dodge. Durante i primi anni la compagnia produsse solamente qualche auto al giorno, all’interno di un vecchio stabilimento sulla Mack Avenue a Detroit. Gruppi di due o tre operai lavoravano su ciascuna macchina montando componenti realizzati da altre aziende.
Inizi duri. Ancora nel 1908 l’impresa aveva solo 450 dipendenti e produceva 10.607 automobili all’anno. Ma già nel 1906, Henry Ford, aveva proclamato: “Costruirò un’autovettura per il popolo, l’auto universale”. Buon profeta: fu proclamata l’auto del secolo.
Nato il 30 giugno 1863, figlio di agricoltori, di origine irlandese e protestante, nel 1888 si trasferì da Dearborn a Detroit dove venne assunto dalla società d’elettricità di Thomas Edison. Durante il tempo libero si dedicò alla costruzione di un’automobile con il motore a combustione interna inventato da Karl Benz e Gottlieb Daimler pochi anni prima. Il prototipo di quadriciclo costruito da Ford, nel garage della propria abitazione, fu sperimentato il 4 giugno 1896.
Ford era un uomo magro, di occhi verdi e capelli arruffati, un volto da corsaro dai tratti duri. Figlio dell’etica puritana del lavoro, della sobrietà e del capitalismo, Ford fu il prototipo del self made man, crebbe con il sogno dell’inventore, sapendo da molto giovane che un giorno sarebbe diventato un industriale, non importava che non avesse il becco di un quattrino. E l’altro sogno era di costruire un veicolo che facilitasse il lavoro dell’agricoltore.
Due anni più tardi, nel 1908, vide infatti la luce la Ford T, un automobile destinata principalmente alla clientela rurale. Grazie alla sua considerevole altezza dal suolo, la nuova vettura divenne subito popolare in quanto offrì ai coltivatori la possibilità di transitare i sentieri rurali dell’epoca. Un altro aspetto fondamentale per il successo dell’auto fu la sua produzione attraverso una catena di montaggio attivata da un nastro trasportatore.
Prodotta tra il 1908 ed il 1927, si fabbricarono oltre 15 milioni di esemplari. Quando uscì di produzione, per altri 14 anni la Ford continuò a costruirne i motori…Con un peso inizialmente inferiore ai 600 chilogrammi (con carrozzeria phaeton o torpedo), a metà della sua vita commerciale apparvero differenti carrozzerie. La sua versatilità la rese popolare, diventando il veicolo ideale per sostituire il carro tirato dai cavalli. Inoltre le sue ruote metalliche, tolti i pneumatici, le permettevano di circolare sulle strade ferrate. In quei tempi nelle vaste zone rurali degli Stati Uniti c’erano pochissime strade e la ferrovia era spesso l’unica via di comunicazione. L’idea di Ford fu di costruire, con i migliori materiali, nel modo più semplice, un veicolo abbastanza ampio per una famiglia, ma sufficientemente leggero e piccolo affinché lo stesso proprietario potesse mantenerlo e ripararlo.
La T aveva un motore a quattro cilindri in linea di 2,893 cm. cubici di cilindrata, erogante 20 CV. Che poteva raggiungere una velocità massima di 72 Km/h seppure con un consumo elevato di carburante, 20 litri per 100 chilometri. L’automobile non aveva la leva del cambio. Il pedale della frizione serviva per cambiare la marcia. Detto cambio epicicloidale a 2 velocità+retromarcia era assai peculiare, poiché permetteva il passaggio dalla prima alla seconda marcia senza l’uso della frizione. A metà della corsa del pedale c’era il “punto morto”; schiacciandolo a fondo s’inseriva la prima velocità, rilasciandolo un po’, la seconda. Fino al 1915 l’avviamento fu a manovella.
Quel veicolo rozzo e poco proporzionato, quasi sempre di colore nero, essendo economico e durevole, con i “baffi di ferro” (l’ignition spark advance per l’accensione e il throttle, l’acceleratore manuale) al volante ed il clacson con un rantolo lugubre da animale sgozzato, colloquialmente chiamata Tin Lizzie (lucertolina di latta) o Flivver (Macinino), protagonista di tante comiche di Stanlio e Ollio – e preludio d’immancabili, esilaranti catastrofi – si convertì nell’archetipo del prodotto industriale del XX secolo. La Ford produceva tradizionalmente un modello unico, con un solo motore. Anche i camion derivati, di grande diffusione, non erano quindi se non allungamenti e rafforzamenti dei chassis. Così si ebbero, nel tempo, i TT, poi gli AA (con cambio a marce ridotte) ed i BB, finalmente ad 8 cilindri.
Pensando a Ford è inevitabile pensare alle catene di montaggio (quelle che in “Tempi Moderni”, del 1936, Charlie Chaplin descriverà nella loro alienante ed ossessiva ripetitività, demonizzandole oltre misura), colme di lavoratori poco qualificati svolgendo una semplice operazione infinite volte; non si può sottacere la grande decisione imprenditoriale che fece decollare la compagnia. Lavoratori ben pagati (il doppio rispetto alla concorrenza) e prodotti buoni a basso costo: una filosofia produttiva che prese il nome di fordismo. Una filosofia produttiva ed un sistema di organizzazione e politica industriale, attuato a partire dal 1914 da Ford nella fabbrica di automobili da lui fondata che, sulla base dei principî del taylorismo (da Frederick Taylor, un economista ed ingegnere ideatore di un metodo per organizzare l’attività lavorativa in base alla specializzazione della manodopera, il controllo dei tempi per ogni fase e la suddivisione dei compiti), mirava ad accrescere l’efficienza produttiva attraverso una rigorosa pianificazione delle singole operazioni e fasi di produzione, l’uso generalizzato della catena di montaggio ed un complesso di incentivi. Il fordismo significò una vera rivoluzione.
Il 5 gennaio 1914, Ford ed il suo consigliere James J. Couzens convocarono una conferenza-stampa. Annunciarono, come prima decisione, la riduzione delle ore di lavoro da nove ad otto. Secondo, che la compagnia avrebbe attivato tre turni giornalieri invece di due, ampliando così l’offerta di posti di lavoro. Più importante il terzo annuncio: Ford raddoppiava la remunerazione diaria dei lavoratori della pianta di montaggio del Modello T, arrivando a 5 dollari.
L’eco della notizia fu enorme. Nei giorni seguenti giunsero 26mila richieste d’impiego. Nel 1914, il tasso di assenteismo si ridusse significativamente. Inoltre la produttività aumentò tra il 40-70 % per operaio ed i benefici crebbero del 20%. Così che quello che il New York Evening Post aveva salutato come “Un magnifico atto di generosità” risultò essere un eccellente investimento. Ciò significò altresì un vantaggio per i clienti: tra il 1910 el il 1919 Ford abbassò il prezzo del T da 800 a 350 dollari, rendendo l’industriale miliardario. Inoltre i lavoratori, con i salari duplicati, poterono acquistare ciò che producevano. Fu una rivoluzione dei consumi che si ripercosse su tutta l’economia statunitense. Henry Ford commentò: “Una della migliori misure mai prese per ridurre i costi”.
Già nel 1914, 13.000 lavoratori Ford fabbricarono circa 300.000 veicoli, mentre la concorrenza necessitava di 66.350 operai per produrre la stessa quantità. Prezzi bassi e meno giorni di lavoro. Ford ridusse la settimana lavorativa a cinque giorni, affinché essi tenessero sia i soldi per comprare le auto, sia il tempo libero per godersele! La versione base della T, la roadster, nel 1926 – 1927 a listino costava dollari 285. Vale a dire che era sufficiente il salario di 47 giorni di lavoro (salario minimo di 6 dollari il giorno all’epoca) per acquistarla. Nonostante la sua scarsa formazione accademica, Henry Ford aveva percepito molto chiaramente e precocemente il concetto, ed i conseguenti vantaggi, della cosiddetta “Responsabilità Sociale”.
Dietro il grande successo, che ne fece la prima industria automobilistica al mondo, esportando ovunque, creando all’estero numerose linee di assemblaggio, il fondatore, Henry Ford. Un uomo difficile, duro, ostinato, come in generale lo sono i grandi capitani d’aziende, dispotico, con la lingua affilata, sarcastico, tanto ostinato e superbo come depressivo, con maggiori probabilità di farsi nemici che amici, dentro e fuori le sue fabbriche, dove certo non era l’uomo adatto per trattare con rappresentanti sindacali, più o meno mafiosi. Si servì per anni dei servigi di Harry Bennett, ex pugile e marinaio, Capo della Sicurezza Interna, che seguì una linea dura, di confronto continuo ed in ultima analisi controproducente. Per lungo tempo Henry Ford non si fece vedere nei suoi uffici.
Lo aiutò, e non poco, il figlio Edsel. Anche se aggirare i veti paterni sulle decisioni strategiche non era certo un’impresa agevole. Edsel Bryant Ford (1893 – 1943) fu l’unico figlio di Henry Ford e Clara Bryant. Presidente della Ford Motor Company già nel 1919 (e fino alla morte precoce per un tumore), Edsel difese l’idea della introduzione di un’auto più moderna in sostituzione dell’ormai obsoleta Ford T, con le ruotine alte e strette, lenta e rumorosa, ancora adatta ai cammini di campagna, ma meno alle nuove strade che si stavano aprendo (come la mitica Route 66) ed alle vie cittadine. Il padre dittatore era rimasto visceralmente innamorato della sua grande creatura, ora irrimediabilmente invecchiata. A lungo fu impossibile convincerlo.
Poi la logica dei numeri, la caduta delle vendite rispetto a General Motors e Chrysler, prevalse. L’introduzione di un nuovo modello, seppur non rivoluzionario, s’imponeva. Durante la fase di progettazione del nuovo Modello, Henry Ford s’incaricò del motore e parti meccaniche, mentre il figlio Edsel s’incaricava di coordinare il disegno delle carrozzerie. La Ford A, lanciata il 20 ottobre 1927, in vendita dal successivo 2 dicembre, fu un’auto di transizione di grande successo. Pubblicizzata benissimo, coinvolgendo le grandi stars di Hollywood.
Era straordinariamente ben costruita, emanava un fascino semplice e discreto in un gran numero di carrozzerie, versioni, colori, accessori, che cambiavano parzialmente ogni anno. Rispetto alla spartana T brillava per una accattivante dolcezza ed eleganza. Era un’auto low-cost che impiegava 40 diversi tipi di acciaio nella costruzione, aveva freni meccanici sulle 4 ruote (quelli idraulici Lockheed sarebbero arrivati alla Ford solo nel 1941!), cambio a tre marce e retromarcia, parabrezza realizzato in vetro stratificato, un solido, tradizionale motore a 4 cilindri in linea di 3,285 cm. cubici ed una potenza de 40 CV, con alcuni difetti (esempio l’alimentazione gravitazionale e la mancanza di una pompa della benzina, che sarà installata sul Modello B), ma dotata di un apprezzabile confort.
Nel 1983 io ebbi l’idea di restaurare un Modello A, roadster del 1930: appresi allora che delle 4,858,644 unità prodotte ne sopravvivevano ancora circa centomila e riuscii a farmi inviare da Hong-Kong i pezzi che mi servivano… nuovi di zecca! Fu anche la prima auto ad essere massivamente guidata dalle donne americane. Ancora oggi una A cabriolet del 1931 o una A deluxe phaeton con i loro acciai lucidati, le parti nichelate, le vernici bicolore con i filetti, appaiono straordinariamente desiderabili, emanano glamour… Quello che perse l’industria americana dell’automobile dalla fine degli anni ’40. La produzione della Ford A ebbe termine nel marzo 1932.
Edsel Ford fu il responsabile dello sviluppo della Lincoln. Fondata nel 1917, la compagnia si trovò in seri problemi finanziari e venne acquistata dalla Ford Motor Company nel 1922. Lincoln si convertì rapidamente in una delle marche statunitensi di lusso con maggior volume di vendita in concorrenza con Cadillac, Packard, Chrysler Imperial, Pierce Arrow ed Auburn-Cord-Duesenberg. Edsel fondó poi la divisione di auto Mercury, per il segmento produttivo medio-alto, nel 1939, attiva fino alla chiusura del 2011. Edsel Ford accrebbe in forma significativa la produzione fuori degli Stati Uniti, estese all’estero le fabbriche di assemblaggio, promosse un sistema di franchigie, oltre a stabilire una fitta rete di Concessionari e Servizi Tecnici Autorizzati.
Nel 1932 Ford lanciò il Modello B, la prima auto al mondo a basso prezzo, ben presto dotata di un motore ad otto cilindri a V Flathead (a testa piatta), in alternativa al quattro cilindri in linea, che restò in produzione fino al 1934, allorché il Modello 48 venne commercializzato solo con il motore V-8. L’auto nella quale venne imboscata ed uccisa la famosa coppia criminale Bonnie and Clyde, a Bienville Parish, Louisiana.
Nella decade del ’30 i maggiori fabbricanti statunitensi di auto s’inclinarono per vetture con maggiori prestazioni e confort. La tendenza appuntava allo sviluppo di motori a V. Cadillac e Marmon con magnifici V-16, Packard, Franklin, Pierce Arrow ed Auburn con V-12, diretti ad un mercato di élite, con propulsori spesso artigianali di costosa fabbricazione. Henry Ford prese una decisione rischiosa, decidendo di passare dal suo tradizionale 4 cilindri in linea direttamente al V-8. I vantaggi di tale motore consistevano in un disimpegno silenzioso, robusto e potente.
I problemi di progettazione si evidenziarono quando fu necessario fondere in un solo pezzo il motore in ghisa, per alloggiarvi i pistoni di alluminio, e fabbricarlo in linea, affinché il costo fosse contenuto. Tuttavia, Ford l’ottenne, nonostante certe difficoltà iniziali, le cricche, il surriscaldamento del blocco motore, e certe carenze del Modello B, il suo telaio arcaico, l’asse anteriore antiquato a causa degli ammortizzatori in uso ecc. Tutto venne risolto e l’auto ebbe uno straordinario successo commerciale, giacché nessun altro fabbricante offriva un V-8 a così buon prezzo. Il nuovo motore era un 8 cilindri a V di 90 gradi; una cilindrata di 3,622 cm. cubici; una potenza massima di 65 CV a 3400 giri/minuto (poi aumentata nelle serie successive a 75, 85 e persino 100 CV); una velocità massima di circa 120 km/h. La scelta della configurazione dei cilindri con un angolo tra le bancate di 90º fu per ottenere un propulsore largo e basso, pur necessitando esso dell’utilizzo del contralbero di equilibratura per ridurre le vibrazioni, non richiesto per i motori con un angolo di 60°.
Durante molti anni la marca dell’ovale blu fu vincolata al V-8, al suo tipico rombo. Nella decade del ’50 tutti i produttori adottarono tale propulsore. La decisione venne presa da Henry Ford quando il Modello A si trovava nel suo apogeo, per cui il lavoro di ricerca non fu inizialmente sollecito. Sebbene il motore V-8 non fosse una novità dal punto di vista tecnico, a Ford corrisponde il merito di averlo portato ad un livello di semplicità ed economicità da farne il motore più diffuso degli USA fin oltre la “crisi petrolifera” del 1973. Il nuovo motore fu provato nel giugno 1931 e concluso all’inizio del 1932. Il 31 di marzo di quell’anno, in piena recessione, appare la nuova Ford, il modello B, ancora con un quattro cilindri, ma con l’opzione del V-8, del Flathead a valvole laterali. Un motore finalmente silenzioso, elastico, rapido. Nel 1934 un Ford V-8 passava da 0 a 80 km/h in appena 10 secondi, sbaragliando la concorrenza.
Il terzo grande successo, dopo i Modelli T ed A. Fra le molte, due frasi del vecchio Henry non hanno cessato da allora di essere ricordate: “L’entusiasmo è ciò che rende possibile che la speranza brilli come le stelle” e “La visione senza l’esecuzione solo è una allucinazione”.
Esiste poi un altro aspetto, peraltro ben conosciuto. Henry Ford fu un pacifista nelle due Guerre Mondiali, contrario all’intervento americano, anche se collaborò con impegno e lealtà.
Alla morte di Henry Ford, essendogli premorto l’unico figlio, Edsel, gli succedette il nipote Henry Ford II (1917 –1987). L’impresa era andata in crisi, addirittura Roosevelt aveva pensato di nazionalizzarla, prima dell’aprile ’45, ma seppe rimontare la corrente.